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argomento
Il libro narra le vicende della famiglia dell'Autrice, romanzate ma desunte
da documenti e storie realmente accadute. La ricerca di archivio nella
parrocchia è stata resa possibile dal fatto che dal 1600 fino ai giorni nostri
nel piccolo paese di Cercenà, frazione di Forno di Zoldo in provincia di
Belluno, hanno abitato esclusivamente i membri della famiglia Cercenà.
dalla quarta di
copertina
È la storia di Zoldo che si snoda, lungo quasi 400 anni, dalla fine del
1500 sino al primo dopoguerra, agli inizi del nostro secolo. È una storia
che si sviluppa tutta intorno alle vicende di una singola famiglia della Valle
(e dei suoi rami principali), fotografata la prima volta in un tempo remoto,
quasi di favola (benché nitidamente inquadrato in avvenimenti molto reali), e
seguita passo passo nella sua evocazione, attraverso gioie e dolori e condotta
sino alla soglia dei nostri giorni .. Ma la narrazione delle vicende di
una singola famiglia diventa anche 1'autentica, coloratissima storia del paese
e di tutta la valle, perché le pene e le conquiste di quel piccolo gruppo
rispecchiano fedelmente le fatiche, le palpitazioni, i periodi di disperazione
e di ripresa, i progressi dell'intera Valle di Zoldo. |
L'attento lavoro di
ricerca che ha permesso la realizzazione di questo libro, non solo ci offre
una serie di preziosi documenti storici sugli usi e le consuetudini della vita
zoldana del passato, nei suoi aspetti sia familiari che sociali, ma riallaccia
alla storia conosciuta sui libri di testo la nostra, particolare storia, anche
attraverso l'inserimento di piccoli episodi reali che hanno segnato la
crescita e le difficoltà della Valle di Zoldo.
come comincia...
Scendeva rapida la notte sull'abitato di
Dont. L'avvicinarsi
dell'inverno aveva ormai accorciato le giornate, privando il villaggio dei
benefico calore del sole fino dalle prime ore dei pomeriggio. Sulle povere
case di legno incombeva l'ombra viola delle guglie rocciose: il Mezzodì, il
Pelf, il Zuitta. Il Maè rumoreggiava spumeggiante, lambendo le travi del
ponticello di legno che univa le catapecchie costruite sulle due sponde.
Nell'ultima costruzione del paese, da dove aveva inizio il sentiero per la
località di Cercenà, in cui alcuni abitanti di Dont avevano dei pascoli,
Cattarina compiva gli abituali atti a chiusura della sua faticosissima
giornata. Coprì con la cenere le braci ancora infuocate, recitando a mezza
voce la formula di rito: "Benedet fuoc, sta in ta luoc", ( fuoco benedetto,
sta al tuo posto)mentre tracciava nell'aria con la paletta il segno della
croce. Si guardò vigile attorno: l'abitazione era tutta in quell'unica
stanza di legno, piccola e maleodorante per il fumo e il respiro degli
abitanti. Mattia, il marito, ronfava già da mezzora, abbandonato come un peso
morto sul pagliericcio. I figli, sei, tutti piccoli, stavano raggomitolati
nell'alcova dell'angolo, fino a pochi mesi prima occupata dai suoceri, morti a
breve distanza l'uno dall'altra. L'ultimo nato invece, avvolto nelle fasce
fino al collo, giaceva immoto nella culla di legno intagliato, fissando gli
occhietti azzurri su una trave del soffitto. Cattarina lo dondolò
distrattamente mentre con una mano cominciava a togliersi le forcine d'osso
che le reggevano attorcigliata la treccia di un bel castano dorato. Ad un
tratto si fermò, attenta. Le era parso di sentire una voce d'uomo che la
chiamava dall'esterno. La donna si chiese chi potesse essere a quell'ora.
La "ronda" incaricata di girare tutta la notte per sorvegliare che non
scoppiassero incendi, era da poco passata: aveva appena sentito il
rassicurante suono di campanelli che i ragazzi incaricati nel turno di quella
settimana (i più giovani membri delle famiglie), avevano scosso allegramente.
Non poteva quindi essere nessuno di loro a chiamarla: se mai lo avrebbero
fatto a voce spiegata per segnalare il pericolo·
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